Investire nelle persone per vincere la prova del futuro: l’indagine sulle HR targata Smartive
Come saranno le risorse umane del futuro? Padrone delle nuove tecnologie e capaci di mettere le persone al centro. Questi i risultati principali dell'indagine curata da Smartive "HR a prova di futuro".
Investire nelle persone, mettendone in luce talento e competenze. Sono questi i due principali obiettivi al cuore dell’indagine “HR a prova di futuro”, realizzata da Smartive, società di change management italiana completamente dedicata alla trasformazione digitale, che nel primo quadrimestre di quest’anno ha sondato un campione di 400 responsabili delle risorse umane.
Per illustrarne genesi, sviluppo e conclusioni, abbiamo intervistato, Francesca Maria Montemagno, CEO di Smartive e professionista tra le FAB50 2023, ossia le cinquanta storie imprenditoriali d’innovazione al femminile selezionate da GammaDonna lo scorso anno.
«Dalla nostra indagine – ha detto Francesca Maria Montemagno – emergono due sfide principali nel 2024: avviare percorsi di Digital transformation (44%) e favorire un’organizzazione ibrida e agile (43%). Distanziati di circa otto punti troviamo l’introduzione di strumenti di HR analytics (35%) e supportare il business (34,8%). Attrarre i giovani talenti della Generazione Z e avviare azioni di DE&I sono attività che interessano circa un terzo dei rispondenti (rispettivamente 31% e 26,8%). Resignation e Quiet quitting sono importanti per meno di un quinto del campione (18,3%)».
Tra le aziende che avete preso in considerazione nella vostra indagine quali differenze emergono nelle risposte fornite a seconda della loro dimensione?
Confrontando i due panorami presi in analisi, grandi aziende e PMI, mediamente, gli HR manager delle grandi aziende percepiscono più sfide da affrontare rispetto ai colleghi delle PMI. In particolare, il 46,8% di coloro che lavorano in una grande azienda è alle prese con percorsi di Digital transformation, superando di oltre cinque punti percentuali i colleghi delle aziende più piccole (41,5%). Altre due sfide sentite soprattutto nelle grandi aziende, con un distacco di oltre otto punti percentuali in entrambi i casi rispetto alle PMI, sono: l’introduzione di strumenti di HR analytics (39,4% vs 31,1%) e la riduzione di resignation e Quiet quitting (22,9% vs 14,2%).
Come affrontare sfide di questa portata?
E’ fondamentale che le aziende investano nelle persone, concentrandosi su percorsi di crescita mirati allo sviluppo del talento e delle competenze. L’adozione di nuove tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale, può supportare questo processo in modo significativo. Tuttavia, è cruciale avvicinarsi a queste tecnologie con consapevolezza, mettendo in primo piano la formazione. Le aziende devono sviluppare programmi di sviluppo che non solo migliorino le capacità tecniche dei dipendenti, ma promuovano anche un’attenzione etica nell’uso delle nuove tecnologie. Questo approccio olistico non solo prepara i dipendenti a utilizzare efficacemente gli strumenti digitali, ma li rende anche più consapevoli delle implicazioni etiche e sociali del loro utilizzo.
Come si investe efficacemente sulle persone?
E’ essenziale creare ambienti di lavoro che valorizzino e sviluppino il talento interno, promuovendo la crescita professionale. Questo porta a un maggiore coinvolgimento e soddisfazione dei dipendenti, riducendo il rischio di resignation e quiet quitting. Tale cambiamento culturale deve essere sostenuto dalla leadership, che deve essere formata per guidare con empatia e flessibilità, abbracciare i cambiamenti tecnologici e promuovere una cultura inclusiva e adattabile.
La ricerca evidenzia anche che la comunicazione efficace per la talent attraction e l’engagement dei giovani sono tra le competenze di employer branding maggiormente mancanti nelle aziende. Quali strategie e strumenti suggerirebbe per migliorare l’employer branding e rendere le aziende più attraenti per i talenti emergenti, soprattutto in un contesto di trasformazione digitale?
Esiste un significativo margine di miglioramento nelle competenze di employer branding: solo l’8,3% dei partecipanti si ritiene in possesso di tutte le competenze necessarie. In particolare, circa un terzo ha individuato lacune significative nelle capacità di comunicazione efficace per attrarre talenti (35,8%) e per coinvolgere i giovani (34,5%). Queste carenze sono più evidenti nelle grandi aziende rispetto alle PMI, specialmente per quanto riguarda la comunicazione orientata alla retention: il 32,4% delle grandi aziende contro il 24,1% delle PMI segnala questa mancanza.
L’indagine mette in luce una trasformazione in atto nel settore delle risorse umane in generale: è così?
Sì: la nostra indagine ha chiaramente evidenziato l’evoluzione del ruolo delle risorse umane da una funzione prevalentemente amministrativa a una più strategica. I manager delle risorse umane stanno ora agendo come facilitatori di esperienze per i collaboratori e i potenziali candidati, riflettendo un approccio più dinamico, aperto e orientato alla comunicazione.
Anche la vostra azienda è interessata da questa evoluzione: ci potrebbe dire in che modo?
Per noi di Smartive non c’è trasformazione e cambiamento senza ingaggio e consapevolezza delle persone. Di conseguenza, lo storytelling ed employer branding si impongono come competenza rilevante per le risorse umane, poiché consente di stabilire una connessione emotiva e rafforzare l’identità aziendale. Questa evoluzione mira a trovare un equilibrio tra il benessere dei dipendenti e il successo organizzativo.
Occorrono investimenti aggiuntivi?
Certamente: è essenziale concentrarsi su aree che richiedono ulteriori riflessioni, investimenti e impegno. Il cambiamento comporta inevitabilmente dubbi e incertezze, e anche le aziende orientate ai dati possono riscontrare difficoltà nell’utilizzo efficace degli strumenti a loro disposizione. Per migliorare l’employer branding e attrarre i talenti emergenti in un’era di trasformazione digitale, le aziende devono sviluppare una forte identità e cultura aziendale, interagire efficacemente con le persone e presentarsi in modo autentico e trasparente. È essenziale implementare programmi di sviluppo e formazione, promuovere un ambiente di lavoro flessibile e inclusivo, utilizzare analisi dati per il recruitment e coinvolgere attivamente i dipendenti nel processo di employer branding.
Quali nuovi approcci o tecnologie stanno utilizzando le aziende per connettersi meglio con la nuova generazione di lavoratori? Cosa desiderano trovare i talenti in un posto di lavoro? Cosa ci dice la vostra indagine a riguardo?
I dati che emergono dalla nostra indagine riguardo l’attrazione dei talenti e l’engagement delle nuove generazioni sono molto significativi e presentano una chiara necessità di innovarsi. Invitano le Organizzazioni ad adottare approcci innovativi e a integrare nuove tecnologie a supporto dei processi di gestione del personale. Le nuove generazioni non sono in cerca di un semplice posto di lavoro, ma di un contesto in cui possano esprimere sé stessi, crescere professionalmente e sentirsi parte integrante dell’organizzazione.
Quali sono quindi i punti da cui partire per affrontare sfide di questa portata?
Qui di seguito eccovi l’elenco dei principali:
– Tecnologie di recruiting: utilizzo di algoritmi e intelligenza artificiale per individuare i candidati più idonei in termini di competenze e professionalità, riducendo i tempi di assunzione e migliorando l’efficienza complessiva.
– Employer branding digitale: investimento in una forte presenza online e sui social media per comunicare in modo efficace i valori aziendali, la cultura e le opportunità di crescita professionale, attrarre così i talenti che si identificano con questi valori.
– Engangement dei dipendenti: adozione di app e piattaforme digitali che facilitano il feedback continuo, la comunicazione aperta e la collaborazione tra team, migliorando il coinvolgimento e la soddisfazione dei talenti emergenti.
– Programmi di sviluppo professionale: offerta di formazione continua, mentorship e programmi di sviluppo su misura che non solo potenziano le competenze, ma dimostrano un reale impegno nel supportare la crescita professionale dei dipendenti.
Quindi come immagina sarà il futuro per le aziende che sapranno raccogliere le sfide sopra elencate?
Il futuro delle organizzazioni dipende dalla capacità di adattarsi e innovare nel modo in cui attraggono, gestiscono e sviluppano i talenti. Per questo, è fondamentale utilizzare strumenti di people analytics per misurare e comprendere le risorse interne, individuando eventuali gap e preparandosi così a sostenere e promuovere la crescita. Questo approccio non solo accresce la consapevolezza interna delle risorse aziendali, ma aumenta anche l’attrattività per il talento esterno che apprezza l’autenticità e l’attenzione ai dettagli, fattori che fanno la differenza.
Il vostro studio sottolinea poi l’importanza della formazione per avvicinarsi alle nuove tecnologie. Quali strategie di formazione ritiene siano più efficaci per preparare i dipendenti alle sfide della digital transformation?
Per preparare i dipendenti a questo cambiamento, è essenziale implementare strategie di formazione personalizzate, pratiche e continuative. Nonostante i progressi tecnologici, la formazione in presenza rimane la più apprezzata per la sua capacità di facilitare l’interazione diretta e comprendere le sfumature della comunicazione. Tuttavia, limitarsi alla sola formazione in aula non è sufficiente. È strategico integrare strumenti digitali che possano supportare e arricchire l’esperienza. In Smartive, per esempio, l’ascolto attento delle persone e l’utilizzo di tool di people analytics, offre la possibilità all’organizzazione di identificare i punti critici e le competenze necessarie, consentendo di attuare interventi formativi mirati.
In termini numerici, quanto incidono le nuove modalità di formazione oltre quella tradizionale in aula?
Il 49,3% degli HR preferisce l’apprendimento sul campo, che offre esperienze pratiche direttamente sul luogo di lavoro, mentre il 47% opta per l’e-learning personalizzato, adattato alle specifiche esigenze dei dipendenti. Si nota una differenza significativa tra grandi aziende e PMI nell’investimento nella formazione: il 55,9% delle grandi aziende utilizza l’apprendimento sul lavoro, rispetto al 43,4% delle PMI, e il 53,7% delle grandi aziende adotta l’e-learning personalizzato, contro il 41% delle PMI. Metodologie come il blended learning e il micro-learning, sebbene meno diffuse, offrono un potenziale significativo per migliorare l’efficacia formativa. Due strategie non citate che possono notevolmente aumentare l’engagement dei partecipanti e migliorare i risultati dell’apprendimento sono: microlearning e gamification. La formazione richiede e continuerà a richiedere nuove metodologie e approcci innovativi. È imperativo sviluppare la capacità di affrontare, ragionare, pianificare e risolvere problemi utilizzando le tecnologie digitali, promuovendo una nuova forma di intelligenza: quella digitale!
In che modo le tecnologie stanno influenzando la strategia e i piani di lavoro delle risorse umane, secondo i risultati dell’indagine di Smartive?
La funzione HR si trova al centro di un duplice processo di trasformazione e cambiamento. Da un lato, riguarda la stessa funzione HR, che attualmente dispone di un portfolio di strumenti da strutturare e ottimizzare per massimizzare l’agilità e la flessibilità, ponendo al centro l’esperienza delle persone che compongono l’organizzazione. Sappiamo quanto sia diffusa l’incertezza tra gli addetti ai lavori nella comunità HR riguardo all’adozione e alla gestione delle applicazioni basate sull’Intelligenza Artificiale generativa.
Rispetto a 3-5 anni fa, notiamo un significativo aumento della consapevolezza all’interno della funzione HR. È come se la prima fase della trasformazione digitale avesse contribuito a orientare il mindset di coloro che sono responsabili dello sviluppo delle persone all’interno dell’organizzazione. Questa consapevolezza si estende anche alla necessità di dotare le organizzazioni di una strategia e di un percorso chiaro per identificare e sviluppare chiaramente gli strumenti della Generative AI. Guardiamo quindi ad un periodo di 12-24 mesi per fare questo passo avanti.
Quali scenari dobbiamo aspettarci da qui a un paio d’anni, dunque?
L’impatto più significativo si manifesterà sempre più nei seguenti ambiti:1) recruiting, 2) miglioramento della people experience tramite soluzioni personalizzate e adattate alle esigenze reali per aumentare l’engagement, 3) processo di onboarding con chatbot avanzati e piattaforme self-service che accelereranno l’integrazione dei nuovi assunti, 4) formazione e sviluppo attraverso skill matrix dettagliate e un’analisi dei gap basata sui comportamenti e le abitudini collaborative, 5) performance management.
Come cambierà il lavoro nel settore HR?
I professionisti HR dovranno essere costantemente aggiornati per implementare programmi di formazione continua, mantenendosi al passo con le ultime tecnologie e metodologie. Questo permetterà loro non solo di valutare e gestire efficacemente la partnership con i colleghi dell’area IT e dell’innovazione, ma anche di assicurare un utilizzo etico ed efficace degli strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale (AI). L’integrazione dell’AI nei processi HR rappresenta una svolta fondamentale per rivoluzionare le pratiche lavorative, non limitandosi alla mera adozione di nuove tecnologie ma influenzando profondamente la cultura aziendale. Questo cambiamento richiede una gestione attenta del cambiamento e un’impostazione strategica per garantire che gli strumenti AI siano impiegati nel miglior interesse delle persone e dell’organizzazione.
Come l’intelligenza artificiale sta ridefinendo i ruoli organizzativi e quali nuove competenze sono necessarie per gestire questa trasformazione?
L’intelligenza artificiale, insieme ad altre tecnologie emergenti, sta ridefinendo il ruolo delle risorse umane. Si sta passando dall’attenzione sui compiti operativi a una focalizzazione su strategie più complesse e integrate per lo sviluppo del capitale umano, in stretta collaborazione con le funzioni aziendali. Questo cambiamento richiede un impegno rinnovato nella formazione, nello sviluppo delle competenze e nella gestione etica della tecnologia.
Immaginiamo un futuro in cui esisteranno sistemi avanzati di matching basati su intelligenza artificiale, capaci di abbinare candidati e posizioni non solo in base alle competenze tecniche, ma anche considerando la compatibilità culturale e comportamentale, o di fornire percorsi di onboarding e formazione personalizzati basati sul ruolo, sulle competenze pregresse e sulle lacune di apprendimento dei nuovi assunti.
Ricordiamoci sempre che l’IA non è una semplice tecnologia, è una tecnologia general purpose capace di generare innovazioni a contorno e di cambiare gli stili di vita e di lavoro. È una nuova ondata di cambiamento che non si risolve con la domanda “la adottiamo? Non la adottiamo?”.
Cambierà insomma anche il mondo della formazione?
Sicuramente sì, il mondo della formazione, soprattutto quella specializzata si arricchirà di simulazioni e realtà virtuale per replicare situazioni lavorative complesse o creare ambienti virtuali per la formazione pratica. Dopo il digital twin delle macchine potremo assistere al digital twin organizzativo? È necessario prepararsi accrescendo la comprensione degli strumenti basati sull’IA, includendo competenze di base in data analytics e cybersecurity.
L’indagine mostra differenze significative nell’adozione dell’IA tra PMI e grandi aziende. Cosa pensa che le PMI stiano facendo bene e cosa potrebbero imparare dalle grandi aziende, e viceversa?
Gli HR Manager delle PMI dichiarano di utilizzare più frequentemente queste tecnologie rispetto alle grandi aziende (44,3% contro 38,3%). Le differenze, per certi versi ovvie, si manifestano principalmente nei budget e nella capacità di gestire progetti di rilievo: le organizzazioni di dimensioni maggiori possono dedicarsi più liberamente alla ricerca e alla pianificazione, mentre i team HR delle PMI sono spesso completamente assorbiti dalla gestione quotidiana e dalla risoluzione immediata delle esigenze del personale. Ciò che emerge chiaramente nella parte qualitativa della nostra ricerca è la curiosità e la propensione al rischio delle aziende di minori dimensioni.
Un quarto degli HR manager ritiene che la cultura aziendale sia poco aperta al cambiamento. Questo aspetto può essere un freno rispetto al coinvolgimento di nuovi talenti e incide sull’attrattività dell’azienda sul mercato del lavoro?
Oltre un quarto (26,6%) degli HR Manager delle aziende italiane ritiene che la cultura aziendale sia in generale poco aperta al cambiamento. Solo il 17,8% reputa che la cultura aziendale sia molto aperta al cambiamento, mentre il 34,5% si colloca in una posizione intermedia.
Cosa si può fare per invertire la rotta?
La nostra ricetta è la seguente:
– Le piccole e medie imprese (PMI) si distinguono per una cultura aziendale più aperta al cambiamento, superando le grandi aziende di quasi 14 punti percentuali (45,3% vs 31,9%). Questo suggerisce che le PMI sono più agili nel rispondere alle nuove esigenze e alle sfide del mercato, grazie a strutture decisionali meno complesse e a una maggiore flessibilità operativa.
– Le grandi aziende mostrano una maggiore tendenza ad essere ancorate alle tradizioni, con un divario di oltre 13 punti percentuali rispetto alle PMI (33,5% vs 20,3%). Questo fenomeno può essere attribuito a strutture organizzative più stabili e a processi consolidati, che talvolta rendono più difficile l’adozione di nuovi approcci e modelli di business.
In estrema sintesi, quale strategia conviene adottare già dall’immediato futuro?
Data la complessità delle dinamiche osservate, diventa naturale la ricerca di nuovi paradigmi che riescano a far combaciare le tessere di quel complesso puzzle dal quale le organizzazioni sono composte. Questi paradigmi dovrebbero essere in grado di integrare in modo sinergico le diverse componenti dell’organizzazione, facilitando così l’adattamento al cambiamento e rafforzando la competitività.