Collaboratori felici di stare in azienda? Per Futureberry è “una questione di cultura”
Risonanza, sense making, appartenenza e identità: cara azienda, se vuoi prosperare con l'aiuto di collaboratori felici devi tenere a mente questi quattro pilastri.
Qual è la scintilla che scocca tra candidato e azienda ideali? La cultura comune. Lo sostiene Futureberry, una società di consulenza che dal 2008 supporta i team di innovazione, risorse umane e marketing delle aziende realizzando per loro percorsi su misura, basati sul potere della creatività delle persone e delle nuove tecnologie.
Ma come capire se la persona di talento che è venuta a colloquio è davvero quella giusta? E viceversa: come può il singolo candidato capire se la relazione con quella determinata azienda funzionerà davvero? La risposta di Futureberry è: guardiamo ai quattro pilastri di «risonanza, sense making, appartenenza e identità». Che cosa sono?
Tutti e quattro insieme, i pilastri individuati dalla società di consulenza rappresentano il vero e proprio Dna di un’organizzazione, «costituendo il perché profondo che porta le persone a fare quello che fanno nel modo in cui lo fanno».
Scendendo più nel dettaglio, per Futureberry la risonanza è quel momento in cui, in fase di colloquio, si risponde alle richieste del candidato sulle modalità di lavoro, politica delle ferie, purpose aziendale e criteri di valutazione scelti, nella maniera ritenuta adeguata a ciò che lo stesso candidato si aspetta. E cosa si aspetta?
In questa fase della storia, capire in modo chiaro quali sono i valori che guidano l’azienda, com’è strutturata la realtà alla quale si stanno proponendo e che tipo di approccio tale realtà ha rispetto a certe tematiche. Insomma, essere certi che tra le due parti vi sia una «risonanza tale da poter parlare di culture fit, che si verifica quando le persone si ritrovano in valori, comportamenti e atteggiamenti che sono il cuore pulsante dell’azienda», scrive Futureberry nel suo comunicato stampa.
Allo stesso modo, la cultura sta dietro al secondo pilastro del sense making, il senso del perché, per la sua capacità di spiegare come mai in una data organizzazione, le cose sono come sono e accadono nel modo esatto in cui accadono. Si tratta dunque di «uno strumento di decriptazione degli eventi, delle decisioni e delle comunicazioni e, al tempo stesso, di una mappa che indica la modalità coerente di agire e decidere».
Venendo all’appartenenza, il terzo pilastro vede nella cultura il maggiore collante relazionale in azienda, in quanto capace di unire persone diverse quindi di fornire un antidoto contro l’isolamento emotivo, creando senso di protezione e accoglienza. L’appartenenza, inoltre, è strettamente correlata al concetto di risonanza, in quanto nessuna persona si sente a proprio agio nell’appartenere a un gruppo con il quale non c’è comunione di intenti e valori. E tuttavia, proprio perché fortemente legato alla risonanza, il terzo pilastro può essere minato proprio dalla rottura dell’incantesimo iniziale su cui si regge il primo pilastro, causata magari proprio dai cambiamenti nei bisogni della singola persona.
Soprattutto in quei momenti può venire in soccorso il quarto pilastro rappresentato dall’identità. Per spiegarne il significato, Futureberry cita Pasquale Gagliardi, uno dei massimi esperti in materia di cultura organizzativa. Secondo lo studioso, «nelle realtà ben strutturate il comportamento organizzativo tende a esprimersi in modalità differenti a seconda dei compiti e dei livelli gerarchici, ma coerenti tra loro e con i valori di riferimento». In altri termini, sosteneva lo studioso, «l’azione globale dell’organizzazione assume una caratterizzazione unitaria e uno stile distintivo: la cultura e la competenza distintiva di un’impresa ne determinano l’identità, in quanto ne condizionano i confini, la forma, l’immagine e, pertanto, la riconoscibilità».
Investire strategicamente nella cultura dell’ambiente di lavoro è insomma essenziale per mantenere un vantaggio competitivo. In proposito Futureberry menziona lo State of Global Workplace Culture in 2023, promosso dalla Society for Human Resource Management, tra le maggiori associazioni globali dedicate alla promozione di ambienti di lavoro inclusivi. Secondo la loro ricerca, «i dipendenti che lavorano in luoghi con una cultura positiva non sono solo più soddisfatti (58%), ma anche più impegnati nei confronti della propria azienda (75%)».
Ribadisce i concetti sopra esposti Dino Torrisi, CEO di Futureberry, che in conclusione dice: «Che la cultura del luogo di lavoro sia un forte catalizzatore per le persone è ormai un dato di fatto. Se ne sono accorti innanzitutto i manager, sia delle funzioni HR sia di tutte le altre aree aziendali, che sono ormai perfettamente consapevoli del suo ruolo centrale sia verso l’interno sia verso l’esterno. E se n’è reso conto anche un numero sempre maggiore di candidati in cerca di una nuova o differente occupazione: una cultura aziendale positiva rappresenta talvolta l’elemento più importante da valutare».