Se il manager è stressato, il rischio burnout aumenta per tutti. L’indagine di Workday

Manager e dipendenti coccolati, posti di lavoro salvati. L'indagine di Workday mette in luce il forte collegamento tra riduzione del burnout ed engagement e retention.

Il Workday Peakon Employee Voice sostiene che il 27% dei dipendenti a livello globale è ad altro rischio di burnout

Lo stress del capo (o della capa) si riflette sulla salute di tutto il team. Lo sostiene il report Workday Peakon Employee Voice, che parla di un 27% dei dipendenti a livello globale ad alto rischio di burnout, un dato ulteriormente più alto quando ad essere sotto stress è il manager. E quest’ultimo, secondo l’azienda leader nelle soluzioni che aiutano le organizzazioni a gestire persone e denaro, presenterebbe un livello di stress elevato in un caso su tre. Come arginare il burnout?

Per Workday occorre «un piano per migliorare la salute e il benessere dei dipendenti, anche con l’assistenza dell’AI e di altre tecnologie». Diversamente, prosegue, il rischio di burnout organizzativo si diffonderebbe dai manager ai dipendenti, «creando un potenziale effetto domino che mina l’engagement e la produttività a tutti i livelli».

Ad avvalorare la loro tesi, nel report si analizzano i dati del sondaggio, cui hanno partecipato 2,6 milioni di dipendenti provenienti da oltre 850 aziende e 12 settori in tutto il mondo. Oltre alla sopra citata percentuale (27%) di dipendenti ad alto alto rischio di burnout, si individua anche un 33% dei manager delle organizzazioni che rientra nella categoria a rischio elevato, rispetto al 15% delle organizzazioni a basso rischio.

In altre parole, si legge nell’indagine, «i manager delle organizzazioni ad alto rischio hanno il doppio delle probabilità di sperimentare lo stress lavorativo».

Da qui, logicamente, si deduce che «i dipendenti che lavorano in organizzazioni ad alto rischio, gestite da manager con un elevato rischio di burnout, hanno il 19% in più di probabilità di sperimentare il burnout».

In sostanza, precisa Workday, «un dipendente su due è ad alto rischio di burnout quando il manager lo è a sua volta».

L'Italy Country Manager di Workday Fabrizio Rotondi considera prioritario arginare il burnout se si vuole migliorare l'engagement e la retention dei dipendenti
Fabrizio Rotondi

Tra le molte sfide che le organizzazioni devono affrontare ogni anno, sembra insomma diventato prioritario arginare il burnout, soprattutto se si vuole «migliorare l’engagement dei dipendenti e la retention dei talenti», ha affermato Fabrizio Rotondi, country manager per l’Italia di Workday.

Rotondi infatti aggiunge: «Sebbene molte organizzazioni comprendano che le persone rappresentano una delle risorse più importanti, il desiderio di maggiore efficienza e produttività può comportare ulteriore stress per la forza lavoro. Migliorare la salute e il benessere dei dipendenti non è solo la cosa giusta da fare, ma può anche contribuire a ridurre i costi associati all’assenteismo e al turnover, rendere l’organizzazione complessivamente più produttiva e costruire una cultura più incline ad attrarre e trattenere i migliori talenti negli anni a venire».

Che si tratti di un fenomeno fortemente impattante su tutto il mercato del lavoro lo dimostrano anche i dati del report di Workday riguardanti i settori in cui il burnout è più o meno presente.

In sintesi, dicono, non esiste settore che ne sia immune. Semmai, ne esistono alcuni in cui il burnout è più che probabile. Si tratta in particolare del mondo dei servizi finanziari, nel quale l’alto rischio riguarda il 18% delle organizzazioni, con un lieve miglioramento (4%) rispetto ai livelli del 2022.

Al 23% si colloca l’alto rischio per le aziende che si occupano di tecnologia, in questo caso con un incremento dell’8% rispetto all’analisi dell’anno precedente.

Relativamente bassa è invece la percentuale di organizzazioni dell’healthcare, che mostrano “solo” un 29% di organizzazioni ad alto rischio di burnout, oltre a presentare un miglioramento dell’11% rispetto al 2022.

In netto miglioramento è poi la condizione sperimentata nel settore trasporti, dove si è registrata la più rilevante diminuzione delle aziende ad alto rischio di burnout (25%) rispetto al 2022, superando settori simili come il manifatturiero, l’energia e le risorse.

Chi sta peggio in assoluto?

Per Workday, la più alta percentuali di organizzazioni ad alto rischio burnout sono il governo, l’energia e le risorse, i media e l’intrattenimento presentano la percentuale più alta di organizzazioni ad alto rischio, pari al 50% o più».

Per tutti questi settori, per fortuna, ci sono miglioramenti rispetto al 2022, ma, si precisa nel comunicato «la salute e il benessere dei dipendenti dovrebbero rimanere una priorità», se si vuole porre un argine al turnover involontario, in crescita, in tempi in cui «assumere qualcun altro non è un’opzione».

Bisogna infatti considerare che «i dipendenti con un rischio di burnout più elevato – si legge ancora – hanno punteggi significativamente più bassi in diversi indicatori chiave, tra cui il coinvolgimento complessivo, la fiducia, la soddisfazione e lealtà».

Come coinvolgerli abbattendo angosce e altri sintomi di evidente disingaggio? Abituandosi a misurare in maniera scientifica, anche con l’aiuto dell’Intelligenza artificiale, il loro “sentiment”, sottolinea Workday.

Abbinata ai dati dei dipendenti, l’IA potrebbe infatti «consentire alle aziende di fornire informazioni chiave sulle persone, esperienze iper-personalizzate e opportunità di sviluppo che aiutano ad accrescere il successo sia dei dipendenti che dei manager», propone il report.

In più, sarebbe importante che i valori delle organizzazioni dialoghino in modo armonico con ciò che si desidera ottenere in fatto di salute e benessere. Insomma, conclude Workday, «se la salute e il benessere sono delle priorità, devono riflettersi nei valori aziendali, nonché nelle azioni quotidiane e nelle attitudini dei leader di tutta l’azienda».

L’invito per le aziende è in ultima battuta a diventare meno rigidi: perché il burnout non si riduce solo distribuendo meglio i carichi di lavoro, ma anche “coccolando” manager e dipendenti per rassicurarli sul fatto che le loro capacità sono davvero a cuore dei loro datori di lavoro.

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