Sfuggire al lavoro immaginando un altro futuro: da Milano l’arrivederci del festival “Nobilita”
Sfuggire al lavoro significa imparare a ridisegnare, ricucire e a tornare. E' la sintesi della terza tappa milanese di Nobilita, il Festival della cultura del lavoro di Fior Di Risorse.
«Nel lavoro vince chi sfugge» era il titolo scelto per la terza tappa di Nobilita, il Festival della cultura del lavoro di Fior Di Risorse, sbarcato per la prima a volta Milano quest’anno per la sua settima edizione.
Come per le due date di fine maggio, anche la tappa finale all’Adi Museo del Design ha regalato parecchi spunti di riflessione ai presenti. In primo luogo, sono almeno tre le declinazioni attribuite al verbo «sfuggire» dai protagonisti dei vari panel della mattina e del pomeriggio.
Si tratta di «ridisegnare, ricucire e tornare». Così le ha riassunte, in chiusura del festival, Stefania Zolotti, la direttrice del magazine Informazione Senza Filtro, edita dagli organizzatori.
Si può sintetizzare con il primo verbo, ridisegnare, in particolare l’intervento di Renato Quaglia, direttore di FOQUS, la Fondazione Quartieri Spagnoli, che ha aperto la giornata con la sua lectio magistralis dedicata agli «errori del Novecento». Di quali errori parlava?
Prima di tutto, credere che l’invenzione della città, modello nato a cavallo tra Sette e Ottocento, possa ancora oggi incarnare l’idea di modernità. «Oggi siamo nell’era delle riparazioni», ha sottolineato Quaglia, che ha raccontato come si è sviluppato in poco più di dieci anni il progetto di rigenerazione urbana dello storico quartiere napoletano grazie a una partnership di tipo pubblico-privato. «Non ce ne facciamo un vanto», ha rimarcato il ricercatore, che giudica il moltiplicarsi di progetti simili a FOQUS come una sorta di «piano B». Oggi, ha aggiunto, «occorrono nuovi strumenti per affrontare problemi del genere».
Ha ammesso di essere sfuggita poche volte al lavoro, durante la sua vita, la giovane imprenditrice Marta Rota, chiamata a discutere del tema principale della giornata con la sociologa Francesca Coin, lo scrittore e giornalista Riccardo Maggiolo e la docente e formatrice Laura Arrigoni.
Al rientro dalle ferie, la brutta sorpresa di quattro lettere di dimissioni da parte di altrettanti collaboratori l’ha spinta a studiare nuove strategie per indurre i dipendenti a sentire maggiore attaccamento per la sua azienda. Rota si è infatti chiesta come mai soprattutto i più giovani siano disposti con molta più facilità delle generazioni più adulte a cambiare lavoro magari solo per «cento euro in più».
Alla sua domanda ha fatto in qualche maniera da contraltare l’intervento di Laura Arrigoni, che ha portato sul palco dei relatori anche due suoi studenti dell’Its Machina Lonati di Brescia, due esempi di ragazzi che a sfuggire non ci pensano proprio e che anzi vorrebbero a loro volta diventare imprenditori.
«Gli adulti significativi siamo noi insegnanti», ha detto la professoressa, sottolineando i rischi di contagiare gli studenti in negativo con le nostre continue lamentele. «Impariamo a dare loro messaggi positivi stimolandone l’immaginazione», ha concluso.
Quanto sia difficile immaginare un futuro meno fosco per chi ha meno di trent’anni è del resto comprensibile anche alla luce delle “Grandi dimissioni” conseguenti alla pandemia da Covid-19.
Un fenomeno niente affatto in diminuzione, secondo Francesca Coin, che ha biasimato fortemente il mercato del lavoro italiano. A dimettersi, secondo la sociologa, sono soprattutto gli over 50, «perché per lo meno hanno un lavoro da cui dimettersi». Semmai, i più giovani che possono sfuggono all’Italia, Paese che sta scaricando sulle loro spalle lo smantellamento del mercato del lavoro tout court. La sociologa perciò si chiede: «Perché mai un giovane dovrebbe restare fedele all’azienda se tutto il resto è stato smantellato?».
Al duro intervento della sociologa del lavoro, è seguito lo speech di Riccardo Maggiolo, che ha affidato a Nobilita la presentazione ufficiale del suo ultimo libro «Lavorare è da boomer», sottotitolo «Dal culto alla cultura del lavoro». Per il giornalista, fondatore di JobClub, le generazioni sono una convenzione, che però in qualche maniera riflettono lo Zeitgeist, lo spirito del tempo che si sta vivendo in un dato periodo.
Per quella che si affaccia oggi nel mercato del lavoro sono semplicemente sparite tutte e tre le categorie valide per la generazione figlia della Seconda Guerra Mondiale e via via sempre di meno per gli adulti arrivati dopo.
«Una volta si passava dalla scuola al lavoro e poi alla pensione: tutte e tre queste cose sono saltate», ha precisato Maggiolo. Legittimo, quindi, chiedersi per cosa oggi lavoriamo. Per mangiare, pagare le bollette e per lasciare un segno nel futuro, come si è fatto fino a poco tempo fa, o per che cosa?
All’ultima domanda Maggiolo ha agganciato la pars construens del suo libro, che a partire da una matrice matematica ha parlato delle 4 A che le aziende virtuose dovrebbero seguire se vogliono davvero dialogare con i giovani di oggi, quelli del “segui te stesso” come mantra esistenziale.
Si tratta di autonomia, ascolto, autenticità, autorevolezza, da coltivare in ogni ambiente di lavoro che voglia davvero essere capace di ispirare fiducia, interna ed esterna.
Discorso generazionale a parte, l’altra faccia dello sfuggire al lavoro riguarda quelli che proprio non ci riescono, come ha raccontato il documentarista Erik Gandini nel suo illuminante documentario After Work.
Per l’autore italo-svedese, benché sia da tempo tramontato il modello fordista delle 8 ore di lavoro, 8 di tempo libero e 8 di sonno, continuano ad esserci Paesi in cui non si riesce a staccarsene (emblematico il caso della Corea del Sud, dove il Governo ha organizzato una campagna di pubblicità progresso per invogliare le persone a godersi di più il tempo libero).
Il viaggio di chi sfugge e di chi non lo fa è proseguito nei panel del pomeriggio condotti dalla giornalista di Radio 24 Il Sole 24 Ore, Debora Rosciani. Con lei hanno dialogato la scienziata politica attivista e fotoreporter Martina Micciché, il professore di politica economica Lorenzo Sacconi, il direttore di Pagella Politica Giovanni Zagni e il vicedirettore di Banca Etica, Riccardo Dugini.
Agli ospiti l’arduo compito di definire che cosa sia oggi «il buon lavoro» in Italia, considerando le ragioni oggettive per lasciare «l’unico Paese Ocse con salari decrescenti negli ultimi vent’anni», ha rimarcato Sacconi. Per il professore, a capo del Forum disuguaglianza e diversità, sarebbe giunta l’ora di parlare di persone e di fioritura umana, come ha fatto l’economista Amartya Sen anziché di impersonali skill, come ha fatto Mario Draghi. In una parola, sarebbe il momento di mettere al centro la giustizia sociale.
Il tema sta particolarmente a cuore alla giovane Martina Micciché, autrice del libro Femminismo di periferia, che risponde al rimprovero che la sua generazione si sente spesso fare dai più vecchi, sulla loro vera o presunta assenza dalle piazze per rivendicare i loro diritti.
«Noi non scendiamo in piazza per il lavoro perché siamo molto più consapevoli di cosa sia il lavoro e cosa non lo è», ha esordito l’attivista milanese, che così ha proseguito: «Molto spesso quello che chiamiamo lavoro è solo sfruttamento». La politica a loro interessa eccome, ha poi ribadito, ma non quella che passa dalle urne, bensì di chi si impegna dal basso. E del resto, ha sottolineato a sua volta Zagni, «i giovani sono troppo pochi per poter contare nelle urne».
A quelli che fuggono si affiancano fortunatamente quelli che restano e che eccellono. Si tratta dei giovani scienziati che si sono laureati all’Università della Calabria a Cosenza, descritti molto bene da una delle puntata di “Che ci faccio qui?”, il programma di Domenico Iannacone, presente a Nobilita per la chiusura del festival.
L’intervento del giornalista della Rai ha ricordato alla platea l’esistenza di persone che sfuggono a ogni tipo di statistica, come i braccianti di Siderno, e di altre zone in cui si sfugge direttamente alla vita per colpa dell’inquinamento, come è successo a Taranto per colpa dell’Ilva.
Qualcosa del genere avevano fatto poco prima le giornaliste di Informazione Senza Filtro, che hanno scelto di raccontare le storie di quelli che restano ai morti sul lavoro, ossia i parenti delle vittime degli incidenti mortali, pubblicate nel numero distribuito ai presenti. Il progetto proseguirà, assicura la redazione, nonostante le difficoltà riscontrate per finanziarlo.
A muovere gli organizzatori di Nobilita è infatti il desiderio di tornare a parlare, a parlarsi, assumendosi la responsabilità di credere che il bel lavoro c’è (come hanno raccontato le foto di Antonella Vecchi disposte lungo il perimetro della sala dell’Adi Museum che ha ospitato la kermesse).