Stop al multitasking e occhio alla salute mentale: il benessere al lavoro secondo Tutto Welfare
I curatori della ricerca di Tutto Welfare analizzano il fenomeno della salute mentale dei lavoratori italiani suggerendo anche possibili strategie per prendersene cura con consapevolezza e inclusività.
La salute mentale è un aspetto fondamentale per il benessere e la produttività delle persone, ma nei contesti lavorativi viene spesso trascurata o sottovalutata. L’argomento è stato affrontato in un dossier a cura di Tutto Welfare, uscito in occasione dell’ultima Giornata Mondiale della salute mentale.
Realizzato con il contributo di alcune istituzioni che promuovono il benessere delle persone, la ricerca si sofferma sul concetto delle diverse interconnessioni che legano la salute della nostra mente e il tempo che passiamo al lavoro.
Per i curatori del dossier, in primo luogo il multitasking è profondamente sbagliato. Lo sostiene in particolare Riccardo Caserini, Account Director di LinkedIn, con le seguenti parole: «Il multitasking è una trappola: scientificamente non funziona e, anzi, causa stanchezza e riduce l’efficienza».
Lo stress è insomma una sorta di cane che si morde la coda: più siamo stressati, meno impegni in simultanea riusciamo a svolgere; allo stesso modo, più impegni ci prefiggiamo di evadere più ci stressiamo, spesso fino a toccare il burn-out. Come uscirne?
Prima di tutto, analizzando bene i dati che raccontano a che punto siamo nel nostro Paese, utilizzandoli come strumento per acquisire maggiore consapevolezza imboccando le strade più efficienti per favorire il benessere di chi lavora.
Secondo Tutto Welfare, le assenze dal lavoro nel nostro Paese avrebbero riguardato nell’ultimo anno un italiano su tre.
Secondo dato: sugli oltre 44 mila contratti di lavoro avviati nel 2019 per le persone con disabilità, solo 322 hanno coinvolto lavoratori con disabilità intellettiva o psichica.
Sono poi 13 milioni gli italiani che si occupano, con differenti gradi di coinvolgimento, di assistere i propri familiari malati o non autosufficienti.
Ben 22 mila sono invece le denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici o di comportamento nei primi sei mesi del 2024.
Ultimo dato: quasi un lavoratore su due ha dichiarato di trovarsi in una situazione di disagio psicologico.
Se lo scenario non sembra molto incoraggiante, il dossier si sofferma però anche sull’aumento della sensibilità al problema da parte delle aziende, che stanno attivando politiche di welfare specifiche per promuovere il benessere psicologico.
Ad esempio, in diverse organizzazioni medie e grandi si stanno attivando programmi di sostegno psicologico, pratiche di mindfulness e politiche di lavoro flessibile. A guidare la nuova tendenza positiva sono soprattutto le generazioni più giovani.
Lo afferma in particolare Anna Benini di LianeCare: «Le nuove generazioni – commenta – hanno maggiore sensibilità verso il benessere psicofisico, e questo influisce sul mercato del lavoro, poiché i giovani richiedono ambienti più sani».
Secondo il dossier, molte aziende starebbero cominciando a collaborare con piattaforme come Serenis e Progetto Itaca (due delle realtà che hanno contribuito a realizzare la ricerca), che offrono servizi di counseling e assistenza psicologica, essenziali per incrementare la resilienza dei dipendenti.
Fabio Musumeci di ODM Consulting sottolinea a sua volta l’importanza di considerare il benessere olistico della persona: la pandemia ha dimostrato che il benessere è cruciale non solo per la produttività, ma per la sostenibilità delle organizzazioni.
Man mano che si acquisisce consapevolezza dell’importanza di prendersi cura della nostra mente, si impara anche a riconoscere quali sono le categorie di lavoratori più vulnerabili agli effetti del sovraccarico lavorativo.
In cima a tutte, ricorda il dossier, ci sono i professionisti sanitari e sociali. Subito dopo, ci sono i giovani appena entrati nel mondo del lavoro e poi le persone con ruoli di cura in famiglia, spesso donne, che vivono la difficoltà di bilanciare responsabilità personali e professionali.
Da non dimenticare inoltre i manager, che, costretti a decisioni rapide e sotto pressione, possono soffrire di alti livelli di stress, che spesso si riversano sull’intero team.
La garanzia di poter raggiungere un buon livello di benessere al lavoro è in definitiva ancora incerta, ma è il futuro a chiederci un cambio di prospettiva. Lo ricorda in primo luogo l’Organizzazione mondiale della sanità, che prevede che la depressione sia destinata a diventare la malattia più diffusa sulla terra entro il 2030.
Per fronteggiare un’emergenza di questa portata, sottolinea il dossier di Tutto Welfare, sarà essenziale che le organizzazioni investano ulteriori energie nel trasformare il concetto di welfare aziendale in wellbeing a tutto tondo. Che cosa significa in concreto? Virare più decisamente verso una maggiore inclusività, abbattendo barriere e promuovendo un supporto reale alle diversità, incluse quelle mentali.