Investire in ESG per convinzione o convenienza? Per molte aziende la seconda più della prima

Secondo una ricerca promossa dall'Institute for Sustainable Investing molte aziende investono in ESG per ragioni strumentali. Dal green washing si rischia quindi di scivolare nel fenomeno emergente dell'ESG-washing. Ada Rosa Balzan, founder, presidente e Ceo di ARB SB, società leader nella consulenza di sostenibilità, spiega come combatterlo.

Cresce l'attenzione nelle aziende alle tematiche ESG, ma le motivazioni che le muovono sono più strumentali che non ideali. La ricerca promossa dall'Institute for Sustainable Investing commentata da Ada Rosa Balzan

Le aziende sono autentiche alleate della sostenibilità? Verrebbe da rispondere: ni. La tiepida risposta è una conseguenza dei dati contenuti nel rapporto Sustainable signals: understanding corporates sustainability priorities and challenges, realizzato dall’Institute for Sustainable Investing su un campione rappresentativo di oltre 300 aziende pubbliche e private che fatturano più di 100 milioni di dollari, provenienti da settori e Paesi diversi, collocati in Europa, Nord America e Asia.

Cuore dell’indagine un sondaggio che ha interpellato i manager con responsabilità decisionali in materia di sostenibilità all’interno delle rispettive organizzazioni.

Tra loro sarebbero in aumento chi concepisce gli investimenti in sostenibilità come «parte integrante e oggi imprescindibile della creazione di valore a lungo termine per la propria azienda». Lo sostiene Ada Rosa Balzan, founder, presidente e Ceo di ARB SB, società leader nella consulenza di sostenibilità. Secondo l’imprenditrice, si tratta di manager che «ormai compreso come la sostenibilità non sia un costo o una moda passeggera ma in realtà rappresenti, sempre più, un’opportunità per lo sviluppo del business aziendale».

Se tuttavia la principale motivazione che li muove ad investire in ESG è principalmente quella del «ritorno e del profitto economico – osserva ancora Balzan – il rischio spesso è che questi ultimi, fermandosi solo all’apparenza e a meri progetti di comunicazione, possano poi andare incontro a casi di greenwashing o meglio di ESG-washing, una nuova forma di greenwashing estesa anche alle questioni sociali e di governance, il cui danno anche economico è ben peggiore».

Ad avviso della founder di ARB SB, le aziende dovrebbe infatti «prima fare e solo poi comunicare», un aspetto «ancora troppo sottovalutato dai manager».

L’adesione autentica alle questioni poste dalle tematiche ESG è infatti richiesta innanzitutto dalla società civile, una visione al momento condivisa solo dal 26% degli intervistati, all’ultimo posto dopo le aspettative dei finanziatori (32%) e quelle dei fornitori (34%).

Anche gli incentivi governativi non sembrano essere considerati un fattore particolarmente incisivo: solo il 35% sostiene che questi abbiano un impatto nel determinare la strategia aziendale in termini di investimenti ESG.

In ogni caso, un ruolo importante lo hanno le convinzioni culturali profonde del management. Il 47% dei manager ritiene infatti di avere «un dovere morale di fare la cosa giusta per le persone e il pianeta», mentre il 46% ritiene che la sostenibilità costituisca «una sfida significativa per il nostro modello di sviluppo». Solo il 15% dei partecipanti al sondaggio, infine, ritiene che l’impatto degli investimenti in sostenibilità sia principalmente quello della prevenzione del rischio.

Tra i motivi che ostacolano una visione più condivisa sulla centralità non solo pratica degli investimenti in ESG ci sono le difficoltà oggettive nelle implementarli concretamente. A menzionarle, son ben 7 dirigenti su 10.

Più nel dettaglio, le esigenze di investimento si collocano in cima alla lista delle sfide, con il 31% dei voti, davanti al conflitto tra pratiche sostenibili e obiettivi finanziari (28%), all’incertezza del quadro macroeconomico (25%) e allo scontro con il modello di business aziendale (24%).

Apparentemente meno significative, per i dirigenti interpellati, risultano questioni come la mancanza di leadership o lo scoglio delle competenze interne (19%). Tuttavia, solo il 37%, tra i partecipanti al sondaggio riferisce infatti che il proprio consiglio di amministrazione ha un expertise in materia di sostenibilità.

Cresce l'attenzione nelle aziende alle tematiche ESG, ma le motivazioni che le muovono sono più strumentali che non ideali. La ricerca promossa dall'Institute for Sustainable Investing commentata da Ada Rosa Balzan
Ada Rosa Balzan

Quasi sei intervistati su 10 (il 57%) ritiene piuttosto che gli amministratori dovrebbero essere più informati sulle normative in tema di sostenibilità, «un aspetto richiesto anche dalla Direttiva europea sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive)», commenta ancora Ada Rosa Balzan.

Il cambiamento culturale e di prospettive che sta coinvolgendo i grandi player del mercato globale riguarda anche le Pmi italiane, soprattutto quelle che operano nella catena di fornitura alle aziende maggiori.

Su questo aspetto si è soffermato il rapporto dal titolo “La percezione dei temi ESG: momentum e sfide nelle Pmi Italiane”, realizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla Sostenibilità delle PmI Italiane della UCL School of Management.

Tra le 874 Pmi coinvolte nella survey, il 79% ritiene che le performance ESG siano positivamente correlate a performance e rendimenti finanziari di lungo termine, mentre il 52% è spinto alla trasformazione sostenibile «da opportunità più che da rischi», aggiunge ancora Balzan, che conclude: «Fondamentale è il ricorso a realtà consulenziali serie, e con uno storico riconosciuto di anni su percorsi di sostenibilità, che sappiano indirizzare gli imprenditori verso un approccio etico e trasparente rispetto al loro percorso ESG oriented».

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