Il lavoro che verrà dopo l’ok al Ddl: intervista a Fabrizio Grillo, Senior Associate di Hogan Lovells
L'ok al Ddl Lavoro ha introdotto importanti novità soprattutto in materia di risoluzione dei contratti. Di queste parla l'avvocato Fabrizio Grillo, senior associate dello studio Hogan Lovells nella nostra intervista.
Il mondo del lavoro cambia e le leggi si adeguano. Lo scorso 11 dicembre è diventato definitivo il Disegno di legge d’iniziativa governativa numero 1532 – bis – A, intitolato Disposizioni di legge in materia di lavoro. Composto da 34 articoli, introduce diverse novità in materia di risoluzione dei contratti, in ambito previdenziale e contributivo e e di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro. Abbiamo chiesto a Fabrizio Grillo, Senior Associate dello studio internazionale Hogan Lovells di illustrarcene le caratteristiche più interessanti nell’intervista che segue.
Il Ddl Lavoro potrebbe modificare i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori soprattutto sotto l’aspetto della risoluzione del contratto di lavoro quando è il secondo a volerla: giudica positivamente questa novità?
È un’ottima domanda. Con il Ddl Lavoro viene introdotta la possibilità per le aziende di considerare risolto il rapporto di lavoro (per “volontà del lavoratore”) con quei dipendenti che si assentino ingiustificatamente per un numero eccessivo di giorni. Si tratta certamente di una misura che agevola le aziende a cui poteva capitare di trovarsi nella anomala situazione di dover avviare un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata a carico di collaboratori che avevano già perso interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Dal lato dei lavoratori, la novità impone certamente maggiore attenzione e puntualità nel giustificare tempestivamente le assenze, ancorché la norma menzioni la possibilità per il lavoratore di dimostrare l’impossibilità (per forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro) di comunicare le ragioni dell’assenza, oltre peraltro alla possibilità per l’Ispettorato del Lavoro competente di effettuare verifiche (una volta ricevuta la necessaria comunicazione da parte dell’azienda).
Volendo fare un bilancio, per quanto ci sia stato chi ha parlato addirittura di un possibile ritorno al fenomeno delle “dimissioni in bianco” (di cui onestamente non si ravvisa il rischio, soprattutto considerata l’attenzione nell’inserire nella norma i meccanismi di salvaguardia poc’anzi menzionati), credo si tratti di una innovazione di civiltà giuridica.
Tra le altre novità c’è la possibilità di accedere alla Naspi anche se si danno le dimissioni: pensa sia una scelta condivisibile e quali effetti potrebbe avere sempre nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori?
In realtà il provvedimento parla di Naspi in caso di dimissioni volontarie, ma chiarisce che dall’1 gennaio 2025 i lavoratori che hanno rassegnato dimissioni volontarie nei 12 mesi precedenti avranno diritto alla Naspi solo nel caso in cui abbiano conseguito almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego per il quale si richiede l’indennità. Tuttavia, il nuovo impiego dovrà cessare con le modalità che consentono l’erogazione della Naspi (quindi involontariamente, salvo i casi speciali previsti), di qui non sono le dimissioni volontarie in sé a consentirne il percepimento.
Pertanto, più che un provvedimento che consente di percepirla in caso di dimissioni volontarie, si tratta di una norma volta a scoraggiare quelle pratiche volte ad ottenerla anche quando non se ne avrebbe il diritto. Il provvedimento dovrebbe insomma diminuire quelle intese tra datori di lavoro e lavoratori che in alcuni casi potevano avvenire per agevolare l’accesso alla Naspi in queste ipotesi.
Sulla comunicazione telematica da parte del datore di lavoro dei dipendenti in lavoro agile a inizio e fine del periodo non crede che possa costituire un appesantimento? In generale, quali norme potrebbero servire per integrare al meglio questa tipologia di lavoro?
Grazie per aver posto la domanda in questo modo, perché consente un paio di considerazioni sullo smart working in generale. Lo smart working è una di quelle evoluzioni (come per fare un paragone mi viene in mente quella dell’intelligenza artificiale rispetto ad internet) il cui fabbisogno di normativa è proporzionale alla molteplicità di possibili risvolti, scenari e applicazioni. Ad una disciplina completamente esaustiva forse si arriverà in futuro, ma credo serva ancora qualche anno di applicazioni pratiche ed elaborazioni giurisprudenziali. La verità è che lo smart working – ed è stata necessaria una pandemia per comprenderlo appieno (ricordo che lo smart working esisteva nel nostro ordinamento già prima dell’arrivo del Covid-19) – ci ha fatto rendere conto, da un lato, di quanto fosse sopravvalutata l’ansia del controllo datoriale e, dall’altro, di come la flessibilità (passando attraverso il meccanismo del rafforzamento di fiducia e responsabilità nella forza lavoro) incrementi la produttività invece di danneggiarla.
Dal mio punto di vista, un’area in cui vi sono ancora notevoli gap normativi sul tema dello smart working è quella della sicurezza sul lavoro. Questo perché lo smart working, proprio per la molteplicità di possibili scenari, ambientazioni e situazioni, comporta delle differenze rispetto al lavoro nei canonici luoghi di lavoro che meriterebbero una disciplina più articolata.
Venendo poi alla domanda sulla comunicazione telematica, si tratta in realtà di un obbligo già esistente (relativamente al quale durante la pandemia era stata introdotta una modalità cumulativa agevolata); viene previsto un termine di cinque giorni per effettuarla, che è in linea con quanto già previsto con le comunicazioni obbligatorie inerenti altre vicende del rapporto di lavoro, quindi la riterrei un’integrazione di coerenza più che un appesantimento.
Un articolo del Ddl ha uniformato le date di presentazione della domanda di pensione precoce e Ape sociale, un’idea senz’altro condivisibile: in quali altri settori (certificati medici/visite fiscali/lo stesso smart working) ci vorrebbe analoga uniformità di azione?
Attualmente, e a seguito del Jobs Act del 2015, esistono ancora due regimi differenti di gestione e conseguenze in caso di illegittimità per i licenziamenti dei lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015. Probabilmente, anche per ragioni di parità di trattamento, sarebbe opportuno superare questa differenza e costruire un regime uniforme per tutti.
Visto che menziona lo smart working anche in questo caso, poi, da un lato, come detto, la modifica del DDL è anch’essa volta alla coerenza con le comunicazioni obbligatorie relative ad altre vicende del rapporto. Per il resto, molti aspetti della modalità dello smart working meriterebbero piuttosto una ulteriore disciplina specifica non uniforme a quella canonica.
E’ prevista anche la possibilità di rateizzare i debiti Inps e Inail in casi ben determinati: potrebbe illustrarci più in concreto questo tipo di norma, magari facendoci qualche esempio concreto di quali lavoratori ne potrebbero fruire?
L’articolo 23 del Ddl prevede la possibilità per Inps e Inail di autorizzare la rateizzazione dei debiti contributivi non ancora affidati alla riscossione, fino a un massimo di 60 rate mensili e per i casi previsti che saranno individuati da un decreto, ancora da emanare, Ministero del Lavoro, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze. La misura è quindi volta, da un lato, a favorire la regolarizzazione spontanea e graduale dei debiti contributivi ed assicurativi.
La possibilità di accedere ad una rateizzazione dei contributi in 60 rate, in realtà, è già prevista nel nostro ordinamento. Attualmente, infatti, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro dell’Economia e Finanze possono autorizzare il prolungamento fino a 60 rate in presenza di oggettiva incertezza dell’obbligo contributivo o nei casi di fatto doloso del terzo. Il Ddl Lavoro ha quindi voluto prevedere un accesso semplificato alla misura della rateizzazione in 60 rate. La nuova norma, infatti, conferisce direttamente all’Inps e all’Inail la decisione se concedere o meno la misura, mentre prima la scelta veniva assunta dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Economia.
Quanto ai beneficiari della misura, la rateizzazione, oltre che a poter essere richiesta dal datore di lavoro con dipendenti (pubblico, privato e agricolo con dipendenti), interesserà i lavoratori autonomi quali artigiani, commercianti, agricoli, liberi professionisti ed altri iscritti alla Gestione Separata Inps.