
Cara azienda, credi nella Diversity & Inclusion? Allora adotta strategie concrete
Non basta dichiararsi equi e privi di pregiudizi: bisogna dimostrarlo nella pratica adottando politiche in grado di rimuovere ogni tipo di bias dai processi di selezione fino al supporto alla carriera per ogni tipo di collaboratore. Ne parla Atena Manca nel suo nuovo articolo.
di Atena Manca*

Non solo un principio etico, ma una leva strategica per le aziende che vogliono crescere, innovare e attrarre i migliori talenti. Sto parlando della Diversity & Inclusion, una scelta obbligata se si vogliono creare ambienti di lavoro equi, nei quali si offre a tutti la possibilità di esprimere il proprio potenziale, abbattendo barriere e superando pregiudizi che, purtroppo, persistono ancora in molti contesti professionali. Di quali barriere e ostacoli sto parlando?
Primo su tutti, penso al “Parental Bias”, un ostacolo solo all’apparenza invisibile. A soffrirne, sono le persone con figli, specialmente le madri. Perché lo dico?
Pensiamo solo a questo: quante volte si sente dire che dopo la maternità una donna è meno focalizzata o che è meglio non assegnarle un progetto impegnativo perché ha un bambino piccolo? Secondo Lean In, molte donne smettono di ricevere opportunità di crescita perché ritenute meno coinvolte nel lavoro. Non solo: gli errori commessi da una madre vengono giudicati più severamente rispetto a quelli di colleghi senza figli.
Ancora, nei CV che menzionano attività legate alla scuola dei figli, la probabilità di non essere assunti aumenta del 79%. Le offerte salariali per i genitori risultano mediamente inferiori di 11.000 dollari. Anche i padri che scelgono di usufruire dei congedi parentali vengono spesso visti con sospetto.
Ecco, a mio modesto avviso, non basta parlare di diversità: bisogna agire. E per fortuna c’è chi lo fa. Alcune aziende hanno per esempio già implementato politiche efficaci per supportare chiunque abbia responsabilità familiari. Tra le soluzioni più efficaci ci sono i nidi aziendali e i bonus baby sitter per facilitare il rientro al lavoro, e gli orari flessibili e lo smart working, strumenti che migliorano la produttività e il bilanciamento tra vita professionale. Alcune realtà hanno introdotto programmi di affiancamento per supportare il rientro dopo una lunga assenza, così come cicli di incontri per genitori lavoratori con momenti di formazione e supporto psicologico.
Un altro aspetto fondamentale è l’implementazione di percorsi di coaching e mentoring per aiutare chi rientra dalla maternità a riprendere il percorso di crescita professionale. La promozione di congedi equi per padri e madri incentiva la condivisione delle responsabilità familiari e garantisce maggiore equilibrio nel lavoro di entrambi. Infine, i percorsi di carriera equi, con sponsor interni, possono favorire opportunità di crescita per tutti, indipendentemente dalla loro situazione personale.
L’inclusione non riguarda però solo i genitori: oltre al parental bias, ci sono altri pregiudizi da combattere.
Troppo spesso, ad esempio, talenti eccezionali vengono frenati da bias invisibili che penalizzano persone in base a età, genere, cultura o neurodiversità.
Facciamo alcuni esempi concreti.
Il primo significativo riguarda la comunità LGBTQ+, che ancora oggi affronta ostacoli concreti in molte realtà lavorative. Il 46% delle persone LGBTQ+ dichiara infatti di aver sperimentato discriminazioni sul posto di lavoro (McKinsey), e il timore di ripercussioni spinge molti a nascondere il proprio orientamento sessuale o identità di genere, con un impatto negativo sulla performance e sul senso di appartenenza. Questo fenomeno è noto come glass closet: chi appartiene alla comunità LGBTQ+ evita di parlare della propria vita privata per paura di essere giudicato o di perdere opportunità di crescita.
Proseguiamo poi con il bias di genere che porta a valutare le competenze di uomini e donne con criteri differenti. Studi dimostrano che, a parità di qualifiche, le donne ricevono feedback più vaghi e meno diretti sulle loro performance, con meno possibilità di avanzamento di carriera.
L’age bias penalizza invece i lavoratori senior, spesso percepiti come meno innovativi o poco adattabili alla tecnologia, quando in realtà portano esperienza e visione strategica di lungo termine. Allo stesso tempo, i giovani professionisti vengono talvolta esclusi da ruoli di responsabilità perché ritenuti «troppo inesperti».
Il bias culturale limita a sua volta la crescita di aziende che non valorizzano le prospettive offerte da background diversi. Team multiculturali permettono di comprendere meglio mercati globali e clienti con esigenze differenti.
La neurodiversità è un’altra risorsa spesso sottovalutata. Alcune aziende hanno adottato programmi dedicati all’inserimento di persone nello spettro autistico, che eccellono in capacità analitiche e problem-solving, contribuendo in modo significativo all’innovazione aziendale.
Alla luce di quanto sopra illustrato, sorge spontanea la seguente considerazione: le aziende con team misti, anzi diversificati, ottengono risultati migliori. A dimostrarlo, sono i dati. I team eterogenei hanno infatti il 25% di probabilità in più di superare la redditività media. Le aziende con team misti hanno il 70% di probabilità in più di espandersi in nuovi mercati. Le decisioni prese da gruppi diversificati sono l’87% più efficaci.
Questo accade perché la varietà di prospettive permette di generare più soluzioni innovative e una maggiore adattabilità. Un team eterogeneo comprende meglio le esigenze di mercati differenti e riduce il rischio di decisioni errate, evitando il cosiddetto “groupthink”, ovvero il fenomeno per cui tutti i membri di un gruppo tendono a conformarsi senza mettere in discussione le idee dominanti.
Tornando a bomba, per assumere le persone giuste occorre adottare strategie efficaci.
In altri termini, per garantire opportunità eque a tutti, è essenziale eliminare i bias nei processi di selezione.
Una delle strategie più efficaci è l’adozione del blind CV, che rimuove nome, età e genere dai curricula per evitare discriminazioni inconsce.
Alcune aziende utilizzano software di intelligenza artificiale per il recruiting, che valutano i candidati in base alle competenze reali senza farsi influenzare da fattori personali.
Strutturare inoltre colloqui standardizzati, con domande uguali per tutti, aiuta ad evitare valutazioni soggettive influenzate da stereotipi. La formazione dei recruiter sui bias inconsci è un altro passo fondamentale per riconoscere e correggere pregiudizi nascosti.
Una delle mie video pillole di leadership e management affronta proprio il tema della diversità e di come rimuovere i bias nei processi di assunzione. Se vuoi approfondire, ti consiglio di guardarla!
A questo punto ti rivolgo una domanda secca: a tuo giudizio, quanto è sensibile la tua azienda su questi temi? L’inclusione e la diversità sono ormai argomenti di cui si parla molto, ma quanto si trasformano in azioni concrete? Nel posto in cui lavori sono state già adottate politiche di Diversity & Inclusion? Se sì, quali funzionano meglio? Se invece c’è ancora molto da fare, quali barriere percepisci?
Ne parlo sul mio blog e sulla mia pagina Instagram. Seguimi per confrontarci e continuare il dialogo!

* Chi è l’autrice
Atena Manca è una professionista con 20 anni di esperienza nel marketing e nella comunicazione. Laureata in Economia per l’Arte e la Cultura all’Università Bocconi e con un Master in Marketing a Publitalia ’80, ha completato di recente il corso Mastering Digital Marketing in an AI World alla London Business School. Creatrice del blog Madonnager.it, Atena condivide riflessioni e consigli (anche quelli non richiesti!) su come bilanciare carriera, maternità e vita personale, sempre con un pizzico di ironia.
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