Hybrid Workplace, la svolta epocale del lavoro che fa bene alle persone

Antonio Procopio riflette nel suo nuovo articolo sugli effetti prodotti dall'emergenza pandemica nell'organizzazione del lavoro, destinati a mutare per sempre la cultura delle aziende che vogliano essere davvero al passo con le esigenze contemporanee di migliore work life balance.

di Antonio Procopio*

Se ripenso a qualche anno fa, prima dello scoppio della pandemia, la scena classica di una giornata di lavoro era questa: ci si alzava presto, ci si preparava di fretta per uscire e si affrontava una serie di trasferimenti tra ufficio, splendide code in tangenziale a Milano, ore per cercare un parcheggio, riunioni sparse in varie sedi, a volte in città diverse. Al termine della giornata, i chilometri e i trasferimenti pesavano più del lavoro stesso, e la frase «lavoro in ufficio per riposarmi» aveva un vero senso!

Poi, all’improvviso, la pandemia: tutto chiuso, ci siamo dovuti adeguare all’home working, in parte forzatamente. E lì, tante di quelle soluzioni tecnologiche che usavamo limitatamente o solo “quando serviva” – come le piattaforme di videoconferenza e i sistemi di collaborazione online – sono diventate il nostro pane quotidiano.

Oggi, con l’emergenza rientrata, quelle stesse soluzioni sono rimaste con noi. Come se la pandemia avesse accelerato di colpo la trasformazione digitale di 10 anni. Oggi parliamo di “hybrid workplace” e di modalità di lavoro distribuite, in cui alcuni di noi sono in ufficio mentre altri partecipano da casa o da un coworking. Perché, come suo principio base, l’innovazione ha il compito di migliorarci la vita, permettendoci di gestire meglio i nostri tempi e di dedicarci anche a noi stessi.

Ma la vera svolta non è stata soltanto tecnologica: è stata innanzitutto umana. Abbiamo infatti compreso che non è sempre necessario essere fisicamente nello stesso spazio per lavorare insieme, anzi. Con una buona comunicazione, obiettivi chiari e gli strumenti giusti, si può essere produttivi (e a volte anche di più) ovunque ci si trovi.

Per fare un esempio concreto: oggi mi capita di incastrare nove o dieci call in un’unica giornata – magari mentre la lavatrice è in funzione in background – quando prima, già con tre riunioni, ci sembrava di aver fatto il tour del mondo! Era impossibile pensare di passare da una parte all’altra della città in poco tempo.

Adesso, tutto si risolve con un link e un clic. E se da una parte possiamo sorridere pensando alle volte in cui ci siamo trovati con un leggero sottofondo di centrifuga durante la call, dall’altra è bello riflettere su quanto questo ci faccia guadagnare in termini di tempo, energie e, perché no, serenità.

Certo, la distanza fisica tra i membri del team può far sorgere dubbi su come si possa salvaguardare l’identità di un’azienda o di un gruppo di lavoro. Eppure, è proprio in questi contesti ibridi che si dimostra la forza della cultura aziendale.

Le aziende che riescono a mantenere una forte identità pur essendo spesso all-remote hanno delle caratteristiche comuni. Penso ad esempio ad una startup con cui collaboro, con “sede” a Milano che ha 16 membri nel team, 14 dei quali vivono ad almeno 4 ore da Milano, 8 di questi all’estero con almeno tre lingue diverse. Quali sono le caratteristiche quindi che aiutano a mantenere l’identità aziendale in un contesto ibrido? Ve le elenco qui di seguito.

– Rituali di team: organizzare meeting informali come “caffè virtuali” o “aperitivi digitali” aiuta a mantenere vivo il rapporto umano anche a distanza. Sono momenti per conoscersi e scambiarsi quattro chiacchiere in modalità meno formale. Credo sia il punto più importante, per provare a creare relazioni umane pur lavorando in remoto.

– Obiettivi chiari e condivisi: definire mission e vision, ma anche risultati da raggiungere in modo trasparente e strutturato, così che tutti si sentano ingaggiati.

Strumenti di collaborazione efficaci: piattaforme per la gestione dei progetti, chat di gruppo, repository condivisi (dal Drive a Notion, Trello…). Con un minimo di formazione e la giusta pianificazione, i processi diventano più fluidi, anche se i colleghi sono sparsi su diversi fusi orari.

– Leadership empatica: un buon leader oggi non deve limitarsi a “monitorare”, ma anzi favorire la coesione del team, ascoltare le esigenze e incoraggiare il confronto costruttivo proprio perché il confronto va cercato, non “capita” più per caso di fronte alla macchina del caffè.

– Momenti di formazione: corsi online, webinar interni, workshop in cui i dipendenti condividono le proprie competenze con i colleghi. Un modo per crescere insieme, anche senza incontrarsi fisicamente in un’aula.

Oggi più che mai ci rendiamo conto che l’innovazione non è solo una questione di strumenti tecnologici; è soprattutto un’opportunità di ripensare e migliorare le nostre abitudini lavorative per vivere meglio. Avere più tempo per noi stessi, ridurre gli spostamenti inutili e aumentare l’efficacia delle riunioni si traduce in un vantaggio per l’azienda (che vede più produttività) e per le persone (che ottengono più equilibrio tra lavoro e vita privata).

La strada intrapresa con la diffusione dell’hybrid workplace rappresenta una svolta epocale. Abbiamo imparato a collaborare in modo nuovo, al di là dei confini geografici. Abbiamo visto come la tecnologia possa abbattere barriere logistiche e, al tempo stesso, darci la possibilità di recuperare momenti di vita preziosi. Mantenere la cultura aziendale e favorire la collaborazione non è mai stato così sfidante, ma anche così stimolante. Perché alla fine, il vero motore dell’innovazione restiamo sempre noi: le persone, con la nostra voglia di crescere, di sperimentare e di restare in contatto anche quando ci troviamo in tuta a fare la lavatrice.

*Chi sono

CEO di MYMY.IT e di Digital-Hub, oltre che CTO di Intarget Group, sono esperto di Innovazione, Digital Advisory & Digital Marketing. Tra le altre esperienze, per Oltre La Media Tv conduco il programma televisivo StartupOpenBar e il webcast StartupShots. Faccio parte del Comitato direttivo del Business Angels Club Pisa. Sono poi mentor di StartupGeeks ed esperto di business con un solido background tecnologico. Infine, partecipo direttamente ed indirettamente in oltre 40 start-up e scale-up, con due exit di rilievo.

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