
Salario e benefit tornano centrali: non è più tempo di rimandare
Nel 2025, per le aziende italiane la priorità nelle risorse umane sono retribuzioni più eque e benefit concreti. Ma i lavoratori condividono la stessa urgenza? La fotografia di SD Worx rivela discrepanze, nuove esigenze e segnali d’allarme su stress, coinvolgimento e crescita professionale
Nel mercato del lavoro italiano, i segnali appaiono inequivocabili. Dopo anni in cui il benessere sembrava il fulcro delle strategie HR, nel 2025 le priorità cambiano. In cima alla lista delle sfide per i datori di lavoro italiani si piazzano retribuzione e benefit (28%), seguite da benessere dei dipendenti (27%) e lavoro flessibile (26%).
La nuova gerarchia emerge dalla ricerca “HR & Payroll Pulse” di SD Worx, multinazionale che offre software e servizi per la gestione delle risorse umane e della payroll. La survey è stata condotta su oltre 5.600 responsabili HR e 16.000 dipendenti in 16 Paesi europei. Il cambio di rotta è evidente, eppure non sorprende. Secondo i dati Eurostat, infatti, l’Italia è tra i Paesi UE dove i salari reali sono calati di più negli ultimi quattro anni.

Nel 2024, era il benessere la questione principale per il 39% degli HR italiani. Un anno dopo, il tema perde ben 12 punti percentuali. È una tendenza europea, ma in Italia il calo è più marcato. Nonostante ciò, il benessere resta una questione aperta: lo dimostra il fatto che il 63% dei lavoratori italiani si dichiara stressato, contro una media UE del 56%.
Anche il lavoro flessibile mantiene un ruolo centrale nella visione delle imprese italiane, pur restando una priorità meno avvertita nel resto d’Europa, dove scivola al sesto posto. Segno che nel nostro Paese esiste ancora una certa distanza da modelli di lavoro più moderni.
Ma cosa vogliono davvero i lavoratori? A fronte delle priorità espresse dai datori di lavoro, il punto di vista dei dipendenti italiani offre spunti interessanti — e qualche dissonanza. Sei lavoratori su dieci si dicono soddisfatti del proprio impiego, ma il dato resta sotto la media europea (69%). Solo la metà si sente davvero coinvolta dalla propria organizzazione (contro il 63% europeo). E la salute mentale? È un tasto dolente: l’Italia è il Paese con il più alto tasso di stress tra i dipendenti.
Non mancano le contraddizioni. Il 60% degli uomini dichiara di sentirsi in forma sul lavoro, contro il 49% delle donne. Ciononostante, proprio gli uomini risultano più inclini a richiedere congedi per motivi di salute mentale (15% contro il 9% delle donne). E, in generale, l’Italia è anche il Paese che si prende meno pause per ragioni psicologiche: solo il 12%, contro una media UE del 17,5%.
Preoccupante anche il dato relativo ai più giovani: l’8% degli under 25 ha già fatto richiesta di congedo per stress, pur essendo agli esordi della vita professionale.
Quando si parla di carriera e crescita professionale, le disparità si fanno più nette. Il 39% degli uomini vede un percorso chiaro di crescita nella propria azienda. La percentuale scende al 27% tra le donne. Un gap di 12 punti che evidenzia una persistente asimmetria di percezione — e forse di opportunità.
E poi c’è la mobilità. Il 18% dei lavoratori italiani è attivamente in cerca di un nuovo impiego, sia dentro che fuori la propria organizzazione. Tra gli under 35, la percentuale sale al 28%, segno evidente che anche in Italia si sta consolidando il fenomeno del job hopping, ovvero la pratica del cambiare attività lavorativa frequentemente, alla ricerca dell’occupazione più adatta alle proprie esigenze e per migliorare la propria posizione sociale.

In questo scenario, trattenere i talenti diventa una sfida sempre più determinante. Se la fidelizzazione non rientra nelle prime cinque priorità degli HR italiani, i dati mostrano che non si può più ignorare. Secondo Valentina Bergonzi, Direttore Risorse Umane di SD Worx Italy: «La mobilità interna offre alle organizzazioni l’opportunità di trattenere e ampliare ulteriormente le nozioni e le abilità dei talenti in un mercato del lavoro oggigiorno molto competitivo. L’evidenza che quasi due dipendenti su dieci vorrebbero assumere un ruolo diverso rimanendo, però, nella stessa azienda è, quindi, un vantaggio per entrambe le parti e rappresenta l’opportunità di sviluppare una carriera sostenibile. Puntare su orientamento e formazione permette, inoltre, alle organizzazioni di costruire una cultura che incoraggia la crescita e la voglia di espandere le proprie competenze. Questo approccio consente, dunque, alle società e al personale, di diventare più agili e pronti ad affrontare un contesto in rapida evoluzione».
E l’Europa, come si sta muovendo? Allargando la prospettiva oltre i confini italiani, emergono alcune differenze significative. Nel nostro continente, le prime tre priorità per i datori di lavoro risultano essere:
– Benessere dei dipendenti (28%)
– Fidelizzazione (25%)
– Recruiting di nuovi talenti (24%)
La retribuzione, al contrario, scivola al quinto posto con il 22%, a testimonianza di un contesto meno pressante rispetto a quello italiano. Crescono, invece, le attenzioni su aspetti “tecnici” ma strategici, come compliance normativa, ottimizzazione delle buste paga e gestione delle carriere.
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