Fuga dal lavoro: l’Italia ultima in Europa per fidelizzazione dei talenti

Quattro lavoratori italiani su dieci sono pronti a cambiare azienda nel corso dell’anno. I giovani guidano l’esodo. Un segnale d’allarme per imprese e leader, mentre il confronto con gli altri Paesi europei evidenzia un divario sempre più marcato

“Trattenere” i collaboratori oggi è molto più di una questione contrattuale: è una leva strategica per la sostenibilità del business. In un mercato del lavoro fluido e in continua trasformazione, la retention non è solo un obiettivo HR, ma risulta essere un indicatore importante della qualità del rapporto tra aziende e persone. E in questo, l’Italia appare purtroppo in affanno.

Secondo l’European Workforce Study 2025 realizzato da Great Place to Work, il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa per fidelizzazione dei dipendenti. Il 40% dei lavoratori italiani intervistati – quasi uno su due – ha dichiarato di voler cambiare lavoro entro l’anno. La media europea si ferma al 31%.

La ricerca ha coinvolto circa 25.000 dipendenti di 19 Paesi europei. Il risultato? L’Italia è il Paese con il tasso di “intenzione di lasciare” più alto, seguita da:
Francia e Polonia: 38%
Portogallo: 37%
Irlanda: 35%
Cipro, Grecia, Regno Unito: 33%.

Dall’altro lato della classifica, troviamo realtà più stabili:
Norvegia: 25%
Paesi Bassi e Germania: 23%
Austria: 21%
Si tratta di differenze che riflettono approcci culturali e organizzativi profondamente diversi.

A manifestare l’intenzione di cambiare azienda è soprattutto la fascia più giovane della forza lavoro. Il 40% dei lavoratori tra i 18 e i 24 anni ha dichiarato di voler cercare una nuova opportunità entro l’anno. Un dato che conferma la crescente distanza tra le aspettative della GenZ e le pratiche manageriali tradizionali.
La percentuale decresce progressivamente con l’età:
25-34 anni: 36%
35-44 anni: 30%
45-54 anni: 28%
Over 55: 25%
La spiegazione? I più giovani sono meno disposti a tollerare ambienti lavorativi che non rispecchiano i valori dichiarati o che non offrono reali opportunità di crescita.

Dietro al turnover crescente c’è spesso una rottura di fiducia. Le persone si aspettano coerenza, ascolto, evoluzione. E quando queste aspettative non vengono soddisfatte, cercano lavoro altrove.
«Una buona strategia di employer branding, basata sul feedback diretto delle persone, riduce i costi di assunzione e di turnover, fenomeni in deciso aumento, soprattutto nelle nuove generazioni», sottolinea Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia.

È necessario costruire fiducia, insomma, perché retention non significa solo benefit o contratti a lungo termine. Richiede una cultura del lavoro basata sulla trasparenza, sull’ascolto e sull’equità. Le aziende che sapranno fare spazio alla voce dei collaboratori, soprattutto dei più giovani, saranno quelle capaci di costruire legami solidi e duraturi.
Il dato italiano, oggi il più critico in Europa, è un campanello d’allarme che spinge a ripensare i modelli organizzativi, gli stili di leadership e le priorità delle nostre aziende. Perché trattenere i talenti non è più un vantaggio competitivo: è una condizione di sopravvivenza.

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